Ascensione del Signore
UNA BRECCIA NEL CIELO PER TUTTI NOI
La solennità odierna è caratterizzata da un clima di gioia e di speranza. La gioia scaturisce dal fatto che la nostra umanità, assunta da Cristo nell’Incarnazione, oggi varca il cielo. La nostra carne è assorbita totalmente da Dio; in Cristo è glorificata e trasfigurata. La speranza nasce invece dalla consapevolezza che Cristo, ascendendo al Padre, ha aperto una breccia nel cielo per tutti noi. Ci additato il nostro meraviglioso destino ultimo.
Questa solennità ci fa volgere, stupiti e attoniti come i discepoli, lo sguardo al cielo, e nello stesso tempo ci fa amare di più la terra nell’intento di trasfigurarla e renderla sempre più simile a un pezzo di cielo.
La solennità di oggi ci rammenta che ogni autentico cammino di umanizzazione non può che sfociare in Dio. Umanizzarsi significa “divinizzarsi”, lasciarsi assorbire da Dio. E’ un itinerario impegnativo ma esaltante. Siamo invitati a percorrerlo e a condurvi sulla stessa strada l’intera umanità. E’ questo il senso dell’ultima consegna di Gesù sul monte dell’Ascensione.
Il Cristo sale sul monte e raduna i suoi discepoli per affidare loro le ultime volontà. E’ una scena che evoca l’episodio di Mosè sul monte Nebo attorniato dai settanta anziani mentre consegna a Giosuè la guida del popolo d’Israele per l’ultimo tratto verso la terra promessa (cfr. Dt 34,1ss.). Ora Cristo ci consegna l’impegno di percorrere l’ultimo tratto verso quella patria in cui lui ci precede.
Dall’alto del monte, dopo aver portato a compimento il progetto del Padre, può finalmente dire: “Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra”, può affermare la sua vera autorità che è scaturita dal servizio totale alla volontà del Padre. In nome di questa autorità consegna ai discepoli l’impegno di andare e ammaestrare tutte le nazione, battezzandole “nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”. E’ un triplice impegno.
Andare.
Il discepolo è un viandante, un pellegrino, un uomo in cammino. Consumato dalla sollecitudine di portare a tutti l’annuncio di Gesù. Il discepolo non è un sedentario, un arrivato. E’ un testimone, un missionario per le strade del mondo.
Ammaestrare.
E’ l’impegno di fare discepoli di Cristo gli uomini. Di consegnare loro una verità che viene dall’alto, da Dio, rivelata in Cristo. Non annunciatori di una parola umana, dunque.
Battezzare.
Immergete gli uomini (significa appunto questo il verbo “battezzare”) nella Trinità, nel circuito d’amore di Dio. Dobbiamo fare in modo che gli uomini si tuffino nella misericordia di Dio. Dobbiamo dire agli uomini che Dio ama tutti svisceratamente, in modo incontenibile.
Questo annuncio deve essere offerto con la vita più che con le parole. I discepoli devono essere i testimoni di una vita redenta, salvata, piena di gioia per aver incontrato il Cristo.
Unitamente al triplice impegno, Gesù dall’alto del monte fa una promessa: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”. Egli è l’Emmanuele, il Dio-con-noi, il compagno di viaggio nel nostro cammino terreno.
Dall’alto di quel monte giunge a noi una rivelazione, una missione, una promessa. La rivelazione di Cristo che torna a sedere alla destra del Padre, dopo la sua obbedienza fino alla morte e alla morte di croce. La missione di testimoniare a tutti gli uomini l’amore del Padre. La promessa di una presenza che non ci lascia orfani. Egli ci cammina accanto nel nostro “redditus ad Deum”. Si fa nostro compagno di viaggio per essere sollievo nel dolore, perdono nel peccato, consolazione nella solitudine, gioia nell’angoscia. Ma egli ci precede anche in avanscoperta in quella patria verso la quale tutti noi siamo in cammino. La speranza non ci abbandoni mai. La forza nel cammino non ci venga meno. Il desiderio di veder Dio mai si plachi finché non giungeremo faccia a faccia a vederlo così come e gli è. E sarà festa senza fine. In paradiso.